Stile Arte (2006-2011) Anno 10 Numero 99 giugno 2006
Lorenzo Monaco, sommo protagonista del passaggio dalla tradizione giottesca al Rinascimento, innesta nella sua arte i tratti migliori dello stile gotico con l’originalità di un’autonomia estetica coerente, fondata su estremo senso religioso e perfezione tecnico-esecutiva.
In perfetto controcanto con la fiaba pittorica di Gentile da Fabriano, a Firenze si leva un’altra voce che scandisce nitidamente l’avvento della Modernità in pittura annunciato da quella corrente conosciuta come Gotico internazionale. È la voce dal timbro insolito e dai toni modulati e vibranti di Lorenzo Monaco, al secolo Pietro di Giovanni, che, all’inizio del XV secolo, marca con l’originalità della sua arte quel fondamentale punto di snodo a partire dal quale la pittura fiorentina si orienta in una direzione di smarcamento dalla deriva involutiva e accademizzante prodotta dall’eredità giottesca.
Fra i protagonisti più alti di quel provvidenziale rinnovamento, cui con certa fatica peraltro si giunse, Lorenzo era nato a Siena intorno al 1370.
A vent’anni era entrato come novizio nel convento di Santa Maria degli Angeli a Firenze, il cenobio camaldolese che raggiunse un ruolo di primissimo piano nella vita religiosa, culturale e artistica nella Firenze tra Medioevo e Rinascimento, dalla metà del secolo XIV alla fine degli anni trenta del Quattrocento, dove il nostro apprese l’arte miniatoria e compì il suo precoce tirocinio pittorico proprio nell’ambito della cultura tardogiottesca di cui erano sedi le botteghe dei Gaddi, degli Orcagna, dei Gerini.
E’ qui che si trasmette all’artista l’eredità della grande tradizione degli inizi del Trecento, che andrà a costituire la solida base su cui poggia e si sviluppa in seguito la sua cultura gotica, con i caratteri fondamentali di uno stile - il disegno netto e preciso, la linea sinuosa ed elegante, i colori brillanti e luminosi, l’esecuzione pittorica sempre assai raffinata - che si ritrovano presenti fin dalle sue opere più antiche.
Parallelamente alla vicenda terrena di Don Lorenzo si compie il suo progressivo traghettamento stilistico e tematico verso le iniziali basilari manifestazioni della prima generazione artistica ‘rinascimentale’, di cui furono protagonisti Lorenzo Ghiberti, Filipppo Brunelleschi, Masolino da Panicale, Masaccio e soprattutto il Beato Angelico, l’altro frate-pittore che probabilmente dovette proprio a Lorenzo la sua formazione artistica.
Inquadrare nella giusta prospettiva storica (e conseguentemente nel contesto monastico che le è proprio) l’attività instancabile di Don Lorenzo risulta di fondamentale importanza per comprenderne appieno alcuni caratteri specifici, come l’intensa spiritualità che caratterizza i suoi dipinti.
Come la maggior parte dei suoi colleghi fiorentini, anche Don Lorenzo fu coinvolto tra il 1380 e il 1410 circa nell’ importante fenomeno del recupero di motivi formali e iconografici tipici della pittura della prima metà del Trecento.
Nel 1404, come si diceva, si avverte un primo sostanziale cambiamento, forse per suggestione proprio del Ghiberti con cui il pittore ha in comune, a partire da questa data, l’allungamento iperbolico delle dimensioni delle figure e l’astratta calligrafia delle linee di contorno. È in questo periodo che il pittore mette a punto un linguaggio di straordinaria raffinatezza formale, caratterizzato da un disegno superbo e guizzante, che egli andrà poi affinando sempre più, fino a raggiungere vertici assoluti di eleganza, che talvolta sembrerebbero apparire “senza tempo”.
Gli ultimi anni di attività di Lorenzo Monaco si svolgono in parallelo al sorgere vero e proprio, nell'arte fiorentina, di istanze nuove che danno l’avvio al Rinascimento.
Di tali novità, volte ad una rappresentazione più verosimile dello spazio e del mondo circostante, tuttavia Don Lorenzo non sembra interessarsi, intento a proseguire il proprio personale cammino che sembra anzi portarlo in direzione opposta. Le sue figure si fanno ancora più allungate e inconsistenti, come trasfigurate da un sublime misticismo; i paesaggi sono affascinanti ambientazioni surreali, nei quali talvolta il fondo oro è sostituito da cieli ormai blu.
L'incoerenza spaziale di certi scorci è tale da apparire come un vero e proprio manifesto di protesta verso la prospettiva di Brunelleschi e Masaccio.
Sarebbe tuttavia riduttivo considerare solo nell’ottica di una estrema resistenza al linguaggio rinascimentale tali esiti, fra i più alti e fantasiosi di tutta la pittura fiorentina. Il favore che ancora all’inizio degli anni Venti incontrava la pittura di Lorenzo Monaco è del resto dimostrata dai numerosi lavori affidatigli, fra i quali la commissione della pala d’altare della chiesa di Sant’Egidio dell’Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, forse da identificare con l’Adorazione dei Magi degli Uffizi.
Oltre che in pittura, molto vasta è stata l’attività di Lorenzo anche nel campo della miniatura, dove raggiunse risultati di non inferiore eccellenza rispetto all’arte maggiore, sia sul piano creativo, sia dal punto di vista della qualità e raffinatezza dell’ esecuzione.
Mai dimentico suo status di monaco benedettino, nonostante la particolare dispensa ottenuta dai superiori, vista l’impossibilità di conciliare il suo stato religioso con l’incessante pratica artistica, per lavorare fuori dal convento e soddisfare così appieno le numerosissime richieste di lavoro che gli provenivano dal suo stesso ordine e da altri committenti, Lorenzo Monaco morì, stando a quanto riportato dal Vasari, all’età di cinquantacinque anni, “infermatosi d’una postema crudele che lo tenne oppresso molti mesi”, e fu sepolto nella sala capitolare del Convento di Santa Maria degli Angeli: un privilegio riservato allora ad alti personaggi del clero, oppure a monaci che godevano di una particolare stima.